Author: Annalisa Mombelli

Condizionatori sospesi nell’aria come stalattiti industriali, un ambiente nero, claustrofobico, il calore che opprime. L’ingresso all’Arsenale disorienta immediatamente: una grotta del presente climatico, dove la mostra “Intelligens. Natural. Artificial. Collective” inizia dal punto più critico della nostra epoca. Come nelle antiche rappresentazioni degli inferi, questo passaggio obbligato ci prepara alla rivelazione: solo attraversando la crisi possiamo emergere verso la luce.

E la luce arriva, improvvisa e accogliente, nelle prime sale dove installazioni luminose ci accolgono con la promessa di un futuro diverso. È il paradigma di questa Biennale: dalla consapevolezza del problema alla speranza della soluzione, dall’oscurità artificiale alla brillantezza dell’ingegno collettivo. Venezia, città che ha sempre saputo trasformare le sfide ambientali in opportunità creative, torna a essere laboratorio di futuro. Camminare tra i padiglioni della Biennale di Architettura 2025 è come attraversare un ponte sospeso tra passato e futuro, dove Venezia ritrova la sua antica vocazione di mediatrice tra mondi apparentemente distanti. La prima sensazione, varcando l’ingresso, è di trovarsi in un laboratorio a cielo aperto dove l’architettura dialoga con l’intelligenza artificiale senza timore reverenziale.

Il progetto “Architecture as a Living System” di John e Julia Frazer materializza questa filosofia laboratoriale: edifici che respirano, si adattano, evolvono. Osservando questi organismi architettonici, viene spontaneo pensare alla Basilica di San Marco, che per secoli ha incorporato elementi bizantini, islamici, gotici, diventando sintesi vivente di culture diverse. L’intelligenza collettiva che oggi programmiamo negli algoritmi era già presente nell’approccio veneziano all’architettura: una città-laboratorio che da sempre sperimenta forme di coesistenza impossibili altrove.

Tra le installazioni più affascinanti,.”Material Bank: Matters Make Sense” esplora il ruolo dell’engagement sensoriale come forma primaria di intelligenza umana. Una tavola periodica dei materiali si dispiega davanti ai visitatori, creando connessioni inattese tra fibre nobili, argille di transizione, metalloidi. Quasi come una  versione contemporanea di quello che accadeva nei fondaci veneziani, dove materiali provenienti da ogni angolo del mondo conosciuto si incontravano, generando nuove possibilità creative.

Il progetto “The Dis-Orientalist” porta questa riflessione ancora più in profondità. L’AI generativa viene addestrata su un dataset alternativo di immagini di architetture di città del Golfo Arabo, sfidando gli stereotipi visivi dominanti e orientalisti. Come nota il progetto, “ogni serie di dati è un canone”, e qui si cerca di riconnettere l’architettura locale con rappresentazioni urbane più autentiche e culturalmente radicate. È un equivalente tecnologico di quello che Venezia faceva con le sue traduzioni culturali: non imporre una visione, ma creare spazi di dialogo autentico.

“Brain-Storm Streaming” di Mirna Zordan e Freddy Curiël aggiunge un ulteriore livello di complessità, analizzando l’attività cerebrale in spazi urbani attraverso elettroencefalogrammi. I partecipanti, dotati di dispositivi EEG, attraversano diverse configurazioni spaziali mentre i loro dati neurologici vengono trasformati in infografiche che rivelano come l’architettura influenzi emozioni e percezioni. È un progetto che rende visibili le connessioni cognitive invisibili, proprio come le antiche rotte commerciali veneziane rendevano visibili connessioni geografiche prima impensabili.

La grande installazione circolare al centro dell’Arsenale, con la sua mappa concettuale che si estende sul pavimento, pone domande esistenziali: “What can we do to ensure the exhibition has a circular afterlife?” È un mandala contemporaneo che interroga la sostenibilità dell’arte stessa, trasformando il visitatore in pellegrino di un nuovo tipo di consapevolezza.

La Periodic Table dei materiali, con i suoi campioni tattili e le sue categorie cromatiche, ricrea l’esperienza di scoperta che dovevano provare i mercanti bizantini toccando per la prima volta sete cinesi o spezie indiane. Oggi tocchiamo bio-materiali, metalloidi, fibre nobili, e in ognuno riconosciamo la promessa di un’architettura più consapevole.

Camminando tra queste installazioni che utilizzano l’AI per decodificare spazi urbani, prevedere comportamenti, generare nuove forme di bellezza sostenibile, si comprende che questa Biennale non celebra la tecnologia come fine a sé stessa, ma come strumento per riconnettere l’umano con l’ambiente. Come i maestri vetrai di Murano che trasformavano sabbia in arte, oggi gli architetti trasformano dati in spazi di vita.

Come spiega Carlo Ratti, curatore di questa edizione, l’approccio è stato quello di creare un vero “laboratorio” dove raccogliere idee “da qualunque parte esse arrivassero”, unite dal filo conduttore dell’intelligenza in tutte le sue forme. Non una semplice mostra, quindi, ma un esperimento collettivo, dove Venezia non è più mera cornice o sfondo di prestigio, ma protagonista attiva della riflessione. La città stessa diventa caso studio: un organismo urbano che da secoli pratica l’intelligenza collettiva, adattandosi, evolvendo, sopravvivendo.

L’esperienza si conclude con una consapevolezza profonda: questa Biennale ha trasformato Venezia da scenario a soggetto della ricerca. Non più solo crocevia di merci e culture, ma laboratorio vivente dove l’intelligenza artificiale incontra quella naturale, dove il collettivo si fa architettura, dove il futuro prende forma dalle lezioni del passato senza nostalgie ma con lucida visione progettuale. Il laboratorio-Venezia continua il suo millenario esperimento di sopravvivenza creativa in cui il dialogo Oriente-Occidente si rinnova attraverso il linguaggio dell’AI.

“Intelligens” non è solo il tema di una mostra, ma una dichiarazione di intenti per l’architettura del futuro: costruire significa orchestrare intelligenze diverse, farle dialogare, trovare nell’ibrido tra naturale e artificiale non una minaccia, ma un’opportunità. Quale luogo, dunque, migliore di Venezia, città nata dall’intelligenza collettiva di chi costruì sull’acqua l’impossibile, per ospitare questa riflessione?


L’autrice ha visitato personalmente la Biennale di Architettura di Venezia 2025, documentando i contenuti qui descritti attraverso fotografie e appunti diretti.

Bibliography

Dietro le quinte della Biennale Architettura 2025, Intervista a Carlo Ratti di Tim Abrahams in About: Journal, Biennale di Architettura 2025, p.3

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