Tecnologie Innovative ed Engagement Museale

Marianna Cuomo

“Framed or not Framed?” Questo è il dilemma che George Simmel potrebbe aver ponderato agli albori del 1900, quando si preoccupò di sollevare la questione sul ruolo della cornice nella percezione delle opere d’arte, trasformandola in un problema filosofico.

Complessa e lunga è stata la discussione che è seguita, le cui fila non avrebbe senso qui ripercorrere, ma il problema che il dibattito ha posto lo scorso secolo torna attualissimo in un’epoca di “disattenzione”, qual è la nostra, e per la quale non si risparmiano la ricerca e l’industria tecnologica, sempre prodighe nel trovare soluzioni efficaci, in special modo per quelle situazioni nelle quali l’attenzione rapidamente svanisce.

È questo il caso dei musei, dove l’esposizione a stimoli percepiti come simili facilmente induce ad assopirsi piuttosto che a ricorrenti sindromi di Stendhal.

Certo, le nuove strategie di engagement adottate dai musei hanno riconfigurato il rapporto con gli utenti, avviando un processo di trasformazione delle modalità di apprendimento, prima del tutto passive ora interattive. Tuttavia, il problema permane lì dove il ricorso a tools e pratiche digitali non è possibile: dunque, come fare per ‘pungolare’ gli utenti a restare vigili in contesti espositivi di stampo tradizionale? La soluzione potrebbe essere suggerita ancora una volta dalle tecnologie, in questo caso ‘invisibili’, come lo sono quelle di cui si avvale l’odierna Neuroestetica per studiare le risposte cognitive e comportamentali dinanzi a stimoli di natura visiva. Sempre più numerosi sono gli studi di user-experience che si avvalgono di questo tipo di tecnologia per valutare il comportamento degli utenti all’interno dello spazio museo, fra questi, i più accessibili sono quelli che utilizzano sensori IOT per il tracciamento dei movimenti ed eye-tracker per la misurazione dei comportamenti oculari, anche nei momenti di disattenzione.

Molti di questi esperimenti hanno provato a rispondere alla domanda posta in modo scherzoso nel titolo di questa pillola, stabilendo, entro i limiti delle loro indagini, quanto e come la presenza delle cornici influenza la percezione e la conoscenza delle opere d’arte.

Rispetto ai grandi problemi che i musei oggi devono affrontare, sapere a cosa serve una cornice è un’informazione apparentemente poco produttiva, eppure, se proviamo a porre la questione sotto un’altra veste, domandandoci ‘come funziona il frame’, riconoscendo in questo anche le vetrine, gli apparati didascalici, le pareti e lo stesso spazio espositivo, allora, la risposta ha un valore preziosissimo proprio in termini di engagement.

Gli studi condotti attraverso il tracciamento oculare sono una fonte importantissima di notizie sulla natura degli stimoli che universalmente attraggono o respingono l’occhio: alle già acclarate teorie sul fascino esercitato dai volti e dalle immagini in movimento, si sommano le più recenti scoperte sulla percezione delle vetrine e degli oggetti che ospitano, sulla preferenza fra le opere d’arte e le loro riproduzioni in altri formati, fra gli oggetti e i dispositivi tecnologici. In ambito museale, quale può essere l’apporto della ricerca basata sulle tecnologie di rilevamento del comportamento degli utenti? Probabilmente, l’identificazione di ‘nudge allestitivi’ utili a tenere alta l’attenzione oppure a dirottarla verso specifici bisogni e, forse, questo può essere l’apporto più significativo a quel fenomeno tanto ricercato dalle strategie di engagement odierne, noto ai più con il nome di “immersività”.

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