Francesca D’Alessandris

Il sublime, come indica l’etimologia della parola “sub-limen” (traduzione latina del greco hypsos) rinvia all’esperienza di qualcosa che è al confine [1], e in particolare di ciò che è alla soglia del conoscibile e da cui, per questa ragione, siamo sopraffatti. A partire dall’età moderna il sublime diventa una categoria classica dell’estetica filosofica. Nella Critica della facoltà di giudizio Kant lo descrive come l’esperienza estetica ambivalente, di piacere e di dispiacere, che il soggetto ha della propria disposizione di fronte a un fenomeno – naturale o artificiale – che trascende i limiti della comprensione [2]. La grandezza assoluta, in senso estetico, delle Piramidi, o di San Pietro a Roma, riprendendo alcuni degli esempi del filosofo, sovrasta il soggetto, la cui immaginazione si trova nell’impossibilità di fornire uno schema per ciò che nondimeno la ragione è in grado di pensare [3].

L’ estetica del sublime ha conosciuto negli ultimi decenni un interesse rinnovato nell’ambito della filosofia analitica. Questa attenzione è motivata anche dal crescere degli studi di psicologia cognitiva sull’emozione di base dell’“awe” (traducibile in italiano con “effetto wow”, “stupore” o anche “timore reverenziale”)[4]. Seguendo la scia di queste ricerche, alcuni filosofi della mente e cognitivisti hanno proposto dei modelli di comprensione del sublime che ne hanno complicato e rinnovato il significato collocandolo in una cornice inedita [5].

Il rapporto tra “effetto wow” e sublime può essere pensato come una sostanziale equivalenza, come una relazione tra specie e caso particolare o come rapporto tra il tutto e una sua parte – che si faccia dell’uno o dell’altro la costruzione emotiva inglobante o un singolo momento integrato in quest’ultima. La strada della sovrapposizione, con qualche minima variazione, di “awe” e sublime è la meno battuta: è piuttosto intuitivo che possano darsi dei tipi di timore reverenziale che non hanno nulla a che fare con l’estetico, come è il caso dell’ammirazione verso una personalità particolarmente compassionevole [6]. Anche l’idea che l’“awe” sia un ingrediente del sublime, e in particolare che ne sia la componente negativa, non è del tutto pacifica da sostenere, soprattutto perché incoerente con alcuni studi empirici che mostrano come si possano chiaramente differenziare una tipologia positiva e una negativa di “awe” – lo stesso argomento, invertito, può essere riformulato riguardo al sublime [7]. In ultima analisi, due sembrano essere le supposizioni più plausibili: o l’ “effetto wow” è una specie di sublime, o il sublime è una specie di “effetto wow”. In entrambe le ipotesi è implicita l’assunzione che il sublime sia un’esperienza complessa e non un vissuto semplice.

Per alcuni autori, l’“awe” può essere considerato come lo stadio iniziale del sublime (“thin sublime”), ossia come una risposta emotiva che viene poi elaborata e riassorbita, attraverso un successivo momento cognitivo – “thick sublime” –, in uno stato mentale dalla valenza globalmente positiva. Seguendo questo modello, l’“awe” è un’emozione semplice, caratterizzata da una reazione fisiologica determinata, da una precisa gestualità e da specifiche espressioni facciali [8]. Per altri studiosi, è invece il sublime a essere una specie di “awe”, il quale non è un riflesso affettivo ma una costruzione emotiva complessa. L’“awe”, stando a questo secondo modello, è un’esperienza che decorre temporalmente, articolandosi in quattro momenti che, sul piano astratto, possono essere descritti seguendo questo schema [9]:

La differenza specifica tra “awe” e sublime risiede, traendo alcune conseguenze da questa figura di sintesi, nel tipo di importanza accordata al fenomeno che genera nel soggetto un radicale squilibrio emotivo e cognitivo (“accomodation failure”), del quale si ha una sorta di consapevolezza interiore (“metacognitive awareness”), accompagnata da un senso di negazione di sé (“feeling of self-negation”) e che è seguito poi da un riassestamento globale (“accomodation”). È il tipo di “accomodation” finale che specifica la forma di “awe” che si sta vivendo. Se, in generale, la riorganizzazione dell’assetto cognitivo del soggetto passa per una valutazione dell’importanza del fenomeno di fronte al quale si prova un eccessivo eppur piacevole spaesamento [10], nel caso del sublime questa importanza è da considerarsi come il risultato di una valutazione estetica [11].

L’argomento per cui sarebbe il tipo di importanza assegnata al fenomeno a costituire il discrimine tra diverse specie di “awe” è convincente sul piano intuitivo. In esso trova istanza la sensazione epistemica, ampiamente sviluppata nella riflessione filosofica moderna, per cui siamo portati ad accordare al sublime uno statuto differente rispetto all’ammirazione timorosa in generale, all’attonimento meravigliato di fronte a un dato stimolo.

Facendo seguito a queste linee di ricerca, si aprono delle prospettive di studio interessanti su come ricreare l’esperienza del sublime in maniera analoga a quanto si fa per stimolare l’“effetto wow” e, analogamente, su come l’estetica possa introdurre un elemento di variazione significativo negli studi su questo meccanismo psicologico. Alcune ricerche recenti hanno individuato nella realtà aumentata e nella realtà virtuale un mezzo per motivare nel fruitore l’“effetto wow” che innesca processi immaginativi alla base della creatività e della curiosità [12]. Gli stessi strumenti potrebbero essere utilizzati per implementare l’esperienza estetica di alcuni fenomeni naturali e opere d’arte, e in particolare per dare luogo a un sentimento che va oltre il bello e, idealmente, tende alla sublimità. Allo stesso modo, la cura dell’aspetto propriamente estetico delle interfaccia digitali di realtà virtuale e realtà aumentata potrebbe dare una connotazione specifica all’“effetto wow”, stimolando un tipo di piacere paradossalmente legato a una forma di disturbante disorientamento che, per questa sua caratteristica, elicita un appagamento cognitivo particolarmente intenso che si ha il desiderio di reiterare.

Reference:

[1] Elio Franzini, “Il Sublime Come Idea Estetica,” Studi Di Estetica, no. 3 (November 26, 2015): 45.

[2] Immanuel Kant, Critica del giudizio (Milano: Bompiani, 2004), 183.

[3] Baldine Saint Giron, Le Sublime. De l’Antiquité à nos jours, 99.

[4] Dacher Keltner and Jonathan Haidt, “Approaching Awe, a Moral, Spiritual, and Aesthetic Emotion,” Cognition & Emotion 17, no. 2 (March 2003): 297–314, https://doi.org/10.1080/02699930302297.

Tom Cochrane, “The Emotional Experience of the Sublime,” Canadian Journal of Philosophy 42, no. 2 (2012): 125–48, https://doi.org/10.1353/cjp.2012.0003; Robert R. Clewis, The Sublime Reader(Sydney: Bloomsbury Publishing, 2018); Margherita Arcangeli et al., “Awe and the Experience of the Sublime: A Complex Relationship,” Frontiers in Psychology 11 (2020), https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2020.01340; [5] Sandra Shapshay, “Two-Tiered Theory of the Sublime,” British Journal of Aesthetics 61, no. 2 (2021): 123–43, https://doi.org/10.1093/aesthj/ayaa047.

[6] L’esempio più comune è quello della compassione di Madre Teresa (Cfr. Arcangeli et al., 3.)

[7] Paul K. Piff et al., “Awe, the Small Self, and Prosocial Behavior.,” Journal of Personality and Social Psychology 108, no. 6 (2015): 883–99, https://doi.org/10.1037/pspi0000018.

[8] Michelle N. Shiota et al., “The Faces of Positive Emotion,” Annals of the New York Academy of Sciences, no. 1000 (2003): 1–4.

[9] Lo schema è ripreso da Margherita Arcangeli & Jérôme Dokic, “At the Limits: What Drives Experiences of the Sublime,” The British Journal of Aesthetics 61, no. 2 (April 1, 2021): 11, https://doi.org/10.1093/aesthj/ayaa030.

[10] Katie McShane, “Neosentimentalism and the Valence of Attitudes,” Philosophical Studies 164, no. 3 (2013): 747–65.

[11] Arcangeli et al., “Awe and the Experience of the Sublime,” 4.

[12] Chirico, A., and Yaden, D. B., Awe: a self-transcendent and sometimes transformative emotion, in Lench, H. (eds.) The Function of Emotions, New York, Springer, 2018a, pp. 221-233.

Chirico, A. et al., Designing awe in virtual reality: An experimental study, “Frontiers in Psychology”, n. 8 (2018b), pp. 2351.

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